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Jacqueline Ceresoli

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Luci e ombre emozionali, Gianni Maffi’s Nightscapes

La città dinamica, polimorfica, decentralizzata vive nell’ambiguità della sua rappresentazione; di giorno è luogo delle complessità, della variabilità, dello scambio, delle contraddizioni, delle occasioni, della memoria. Di notte, grazie all’illuminazione artificiale, lo stesso paesaggio urbano si carica di pathos, si colora di nuove luci e diviene medium emozionale. Grazie all’arte, paesaggi urbani anonimi e decontestualizzati, sono diventati poetici quanto i panorami tradizionali rischiarati dai raggi della luna. La luce illumina città invisibili, disegnando spazi immaginari, oggi anche gli architetti utilizzano l’illuminazione artificiale come elemento costruttivo-decorativo, e i light designer la inseriscono nei piani di ristrutturazione urbanistica d’avanguardia. Sostituire nell’immaginario collettivo la periferia, notoriamente connotata da un’aura negativa, con paesaggi “notturni” emozionali ed estetizzanti non è impresa semplice. Ma quali paesaggi notturni dissolti nelle luci dorate dei lampioni al neon non aprono lo sguardo a visioni di città nuove, trasformando la realtà in un sogno? La risposta si trova nelle immagini della serie Quiet Nights(?) di Gianni Maffi (1957), capaci di trasformare l’Hinterland milanese in un luogo sospeso, incantato, misterioso. Scrive Maffi, fotografo per professione e argonauta di spazi “altri” per vocazione: “Queste fotografie sono il frutto di alcune perlustrazioni notturne effettuate nella zona sudest di Milano. Spostarsi a piedi in questi luoghi deserti, con apparecchio fotografico e treppiede in spalla, mi ha sensibilizzato lo sguardo, portandomi a scoprire un’altra città, sospesa, sconosciuta che di giorno scompare con le prime luci dell’alba”. Di notte si accentua il fascino ambiguo della periferia, dove la campagna è stata fagocitata dalla città e viceversa, grazie all’illuminazione artificiale, alle luci gialle dai riflessi dorati, ai lampioni che illuminano le rotonde, gli svincoli stradali, i parcheggi e gli ipermercati disseminati in queste lande desolate, nelle immagini di Maffi si trasformano in un paesaggio emozionale dalle gamme cromatiche accese, talmente suggestivo da farci dimenticare la cruda realtà. Nel Novecento, la città, i luoghi decentrati, le architetture dell’industria diventano un sinonimo di modernità, rappresentando paesaggi del progresso interpretati dagli artisti come luoghi onirici e visionari, dai contorni stemperati dalle ombre e scie dalle luci artificiali. I flash della luce elettrica “dipingono ” paesaggi metropolitani notturni che sono diventati “topos” dell’immaginario collettivo, da Boccioni all’architetto Nouvel che a Barcellona ha realizzato la Torre Agbar, grattacielo multicolore a forma di missile che irradia di luci lo spazio circostante. Anche il restyling urbano come evento dell’effimero è una prassi della nostra cultura che investe nel marketing degli spazi urbani, creando ovunque luoghi Disneyani. Davanti agli scenari dei notturni extraurbani di Maffi scopriamo non tanto il luogo fisico, l’Hinterland nella sua essenziale funzionalità, quanto spazi di luce come epifanie luminose di inter-spazi carichi di bagliori illusori messi a fuoco attraverso la fotografia. Così nella quiete della notte ammantata dal buio, che invita alla contemplazione, al silenzio, al viaggio dentro gli spazi dell’illusione, abbiamo l’impressione di vivere in una dimensione irreale. Le sue periferie dai panorami contornati da tralicci dell’alta tensione, dai cartelli stradali, da cavalcavia e tangenziali, da parcheggi e stazioni di servizio di “hopperiana” memoria, da insegne pubblicitarie, da supermercati e architetture industriali abbandonate a se stesse, come cattedrali nel deserto, insieme agli altri segni della modernità, dell’industria, del progresso che hanno modificato il territorio, sono diventati belli, unici perchè vivono nell’istantaneità di un “clic”. Questi paesaggi extra-urbani contornati dalla luce artificiale sono “atmosferici ”, quanto quelli rappresentati dagli impressionisti, già sedotti dagli effetti della luce naturale sulle cose che sempre modifica la nostra percezione. Maffi e altri artisti “dipingono” scenari metropolitani con lo stesso parametro cognitivo degli impressionisti per vedere le stesse cose sotto luci diverse, cogliendo luoghi della visione e paesaggi emozionali carichi di valori simbolici come metafore poetiche ed anestetico contro la noia delle stratificazioni di immagini estetizzanti prive di senso. Le visioni di Quiet Nights? inquietano anche, perché mettono a fuoco epifanie di luce che dilatano il senso del tempo e dello spazio. Sono scenari reali che ci stupiscono nella loro capacità di rappresentare la falsa oggettività della fotografia e l’ambiguità della visione che nella notte si accende di colori artificiali e incendia la fantasia, mettendo a fuoco spazi, luoghi, vuoti, volumi, spigoli, dimensioni fluttuanti sospese nel buio e che sfumano dietro aloni di luce bianca o colorata, destinati a svanire all’alba come i sogni.

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