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Pio Tarantini

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I concetti di spazio e di tempo costituiscono temi (e problemi) basilari nella storia della conoscenza umana: ancora oggi ci si interroga sulla nostra capacità di comprensione e di percezione dello spazio in cui si consuma l’esistenza dell’uomo e in che modo ne cogliamo il flusso temporale.

Tra le forme espressive visive che forse più di altre fanno riflettere su questi temi la fotografia occupa, sin dalla sua relativamente recente nascita, un posto preminente: a una grande capacità descrittiva – che ci illumina sul concetto di spazio – unisce il suggerimento del concetto di tempo, quel famoso “È stato”, che fissa nell’immagine fotografica qualcosa che è accaduto e che non potrà più ripetersi.

Mi vengono in mente queste considerazioni, ben note a che si occupa in modo non superficiale di fotografia, nel vedere il lavoro che Gianni Maffi ha realizzato sui paesaggi desertici del Marocco e della Tunisia nel corso di molti viaggi e molti anni. L’autore ha voluto intitolare questo suo lavoro Gli spazi dell’eco – «[…] … Il deserto è lo spazio dell’eco delle domande e la cassa di risonanza del dolore del mondo…» ricorda Maffi citando Il deserto nella letteratura magrebina di Mariangela Caposella – proprio per sottolineare l’aspetto di riflessione cui inducono i grandi spazi spogli tipici del deserto. Non solo quelli suggestivi delle grandi distese di sabbia, ma anche quelli di pietrisco, di rocce, di terra disabitata che a volte confina col mare, altro immenso spazio suggeritore di inquietudini e interrogativi con il suo impatto visivo a perdita d’occhio.

Sia nella luce diurna, ben definita, che in quella più incerta del crepuscolo o della sera, le inquadrature di questa ricerca di Maffi paiono voler sottolineare una scelta metafisica che allontana dal contingente, dalla storia, elementi questi appena accennati, qualche volta, da una discreta presenza di manufatti umani nel territorio.

La scelta del bianco e nero risulta quasi obbligata, con la necessità di abbassare la soglia di realismo a favore di una lettura di sapore più metafisico. Tutto è estremamente leggibile, in queste fotografie, sia quando esse sono in linea, per quanto riguarda l’impianto formale, con la grande tradizione della lettura del territorio secondo Weston e Adams, – i padri novecenteschi di una visione “pura” del mondo, tanto da rasentare, a volte e per certi aspetti, una sorta di misticismo naturalistico – sia quando la precarietà della luce sfuma i contorni e rende più labili i soggetti.

Le vedute desertiche di Maffi raccontano un po’ l’inquietudine dei nostri tempi: questi suoi paesaggi appaiono fuori dalla storia e nello stesso tempo suggeriscono una ricerca intellettuale solitaria, un necessario interrogarsi sul “senso” del mondo in questi spazi di una natura dura e quasi incontaminata, non a caso già culla delle religioni monoteistiche, al confine di regioni oggi in piena effervescenza storica.

Presentazione della mostra Gli spazi dell'eco, ottobre 2005
 

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