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Roberto Mutti

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Fermarsi a guardare

Chissà come la pensano i tanti visitatori che Milano non l’hanno mai conosciuta e ora la osservano per la prima volta senza sapere o immaginare nulla del suo aspetto precedente, quello dove agli edifici di pregio che nobilitavano le zone centrali si accostavano le case popolari di ringhiera affacciate su grandi cortili comuni che aumentavano il tasso di socialità. Quella dove i navigli scorrevano sotto i ponti di ghisa, si allargavano nella Darsena, si intrufolavano fin nella vicinanze del centro. proprio perché conoscono quella storia i milanesi trovano del tutto naturale imbattersi in una via che si chiama Pontaccio e in un’altra Molino delle armi, in un vicolo delle lavandaie, in uno slargo ancora denominato in milanese tumbun, cioè laghetto. Lì, infatti, si allargava un punto di attracco dove approdavano i rotoli di carta destinati alla vicina sede del quotidiano “il Corriere della Sera”.
E’ proprio la consapevolezza di questa storia a farci apprezzare il presente: essere testimoni dei profondi cambiamenti di
cui Milano è in questi anni protagonista è per un fotografo una importante opportunità, quella di poterli documentare ma
anche interpretare. Autore capace di confrontarsi con il paesaggio naturale come con quello urbano mostrando i segni di
uno stile deciso, Gianni Maffi indaga sulla sua città alla ricerca delle nuove configurazioni di cui la storia è la guida mentre l’architettura ne è la rappresentazione più evidente. Così, se nel recente passato il grattacielo Pirelli raccontava nella stessa misura l’importanza di una grande fabbrica e il senso di modernità della Milano capitale dello sviluppo industriale italiano, ora i nuovi quartieri sono indice di un inesorabile abbandono di quel modello a favore di un terziario ormai dominante.
L’incipit di questa ricerca è già di per sé incalzante: l’avanzamento dei cantieri documentato da una fotografia che si allarga negli spazi compresi dall’obiettivo grandangolare conferisce all’insieme un tono imponente che anticipa la grandiosità dei risultati con cui ci si confronterà. Quando poi Gianni Maffi si addentra nei tanti quartieri attraversati dalla modernità ci lascia due possibilità: soffermarci su questa indagine leggendo ogni zona come fosse un capitolo di un più ampio discorso oppure far scorrere tutte le immagini davanti agli occhi per cogliere il ritmo che le attraversa. Il suggerimento è quello di iniziare con la prima opzione per avere un quadro preciso di come appare la città per poi farsi guidare da alcune immagini capaci di far riflettere. E’ il caso della coppia seduta su una panchina di fronte al nuovo paesaggio della zona Garibaldi. La ripresa di spalle lascia spazio al dubbio: lo ammirano o lo scrutano sconsolati? Come fosse il prolungamento dei loro sguardi, l’obiettivo del fotografo raggiunge gli edifici delle ex Varesine e si incanta di fronte alle spigolosità estreme come alla monumentalità attraversata da una luce che ne alleggerisce i volumi. Le figure – uomini e donne che passeggiano, ciclisti che pedalano isolati – si misurano con i nuovi edifici e sembrano lentamente prendere confidenza con le superfici lisce, con i muri che svettano, con l’acciaio e il vetro che brillano e riflettono un cielo attraversato dalle nuvole. Ogni tanto le immagini lasciano messaggi sottilmente inquietanti e quel parco giochi posto in primo piano davanti a un grande condominio di Santa Giulia, privo com’è della presenza dei bambini, allude in modo critico alle non poche contraddizioni che hanno accompagnato molti di questi nuovi progetti urbanistici. Talvolta il fotografo ama sottolineare l’audacia delle costruzioni come nell’area dell’ex portello dove lo sguardo si allarga in una grande piazza e si sente forte la presenza del ponte che consente a pedoni e ciclisti di muoversi al di sopra delle vie sottostanti. Gianni Maffi ha, però, il grande merito di modellare la sua visione adattandola alle diverse realtà con cui si confronta così passa con disinvoltura dal geometrismo esasperato della Bicocca di cui sottolinea la spigolosità cubica alla morbidezza quasi giocosa di Assago che, con i suoi colori pastello e la sua estetica da rendering, sembra sorta dal nulla. Il nostro ideale percorso trova la sua naturale conclusione in una fotografia apparentemente semplice per la sua visione frontale ma carica di rimandi. Riprende, infatti, una strada
asfaltata e in primo piano le righe bianche di uno stop: non un invito a fermarsi ma l’indicazione di rallentare e riprendere il cammino non prima di aver dato la precedenza a molte cose. Decidete voi quali.

Presentazione della mostra Milanepo, 2015

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